Archivi del mese: ottobre 2009

Carabinieri, la fiction continua

Carabinieri, la fiction, è arrivata alla settima edizione. Attraverso la finestra di Canale 5, da sette anni l’allegra combriccola dell’Arma è entrata nelle case di tutti gli ascoltatori votanti d’Italia, assieme alle storie d’amore, i litigi, le incomprensioni, le risate e le battute: una sorta di Caserma del Grande Fratello, con belloni, buontemponi e maggiorate a rotazione seriale.
Maurizio Costanzo, il 12 maggio del 2002, la definiva come «fiction domestica, frugale, utile ad avvicinare il pubblico ai carabinieri, da sempre in mezzo alla gente»: a dieci mesi dalla morte di Carlo Giuliani, se ne sentiva il bisogno. Non dico sia stata ideata e realizzata appositamente, ma come operazione di restyling d’immagine dei cento carabinieri che girano una caserma mentre uno tiene ferma la lampadina, è stata un’operazione senza dubbio di successo.
Ricordo che da piccolo le barzellette sui carabinieri andavano per la maggiore: un corpo dell’esercito vessato dallo sfottò, imbecille per antonomasia, fucina inesauribile di materiale per la produzione cinematografica trash.
Poi, in coincidenza con gli impegni di esportazione democratica, prima scemi del villaggio, poi simpatici e frugali intrattenitori del focolare domestico, i carabinieri hanno acquisito lo status di eroi. Eroi in un sacco di plastica nero, ma eroi. Ed intoccabili.
Guai a criticare i carabinieri, i “nostri eroi quotidiani” (Ignazio la Russa, 22 gennaio 2009), garanti della nostra sicurezza dentro e fuori i nostri confini.
Questo mito delle forze dell’ordine, dei corpi armati, malamente importato dagli Stati Uniti, ha un qualcosa di diabolicamente demagogico, di arma di distrazione di massa, come le epopee hollywoodiane della cavalleria di John Wayne: sangue di comanche sul teleschermo, sangue di coreano e vietcong in asia.
Anche per questo, quando le foto del cadavere di Stefano Cucchi, sfigurato come quello di Federico Aldrovandi, compaiono sulle pagine dei giornali, la versione ufficiale è “una caduta sulle scale” e Ignazio La Russa difende immediatamente a spada tratta la categoria delle forze dell’ordine.
Carlo Giuliani, Gabriele Sandri, Federico Aldrovandi,  Stefano Cucchi…tutte mele marce. Troppe mele marce per difendere a cuor leggero la categoria. Dove sono le dichiarazioni di condanna degli alti ufficiali delle nostre forze dell’ordine? Dove sono le scuse alle famiglie? Dove sono i colleghi di questi delinquenti in divisa? Dove sono le sentenze esemplari?
Le famiglie di questi morti accidentali, senza giustizia e senza pace, mentre l’ennesima fiction fa da sfondo alle loro cene, stanno ancora aspettando un segnale. E’ una serata come le altre: chiusi al sicuro nelle proprie case, con un figlio sepolto sotto tre metri di terra senza un perchè.

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La Squadra di Berlusconi e quelli di sinistra

E’ da quindici anni che giochiamo su un campo di calcio. Erroneamente, ricordiamo il 1994 come la data della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, ma ci hanno mentito. Non è stato lui a scendere in campo: lui già c’era, gli serviva solo un’altra squadra contro la quale giocare. Noi.
Da quindici anni a questa parte, la linea di metà campo divide l’Italia in due squadre: i berlusconiani e i non berlusconiani, i comunisti, “quelli di sinistra”. E nel derby ininterrotto della politica dopo Berlusconi, comunista e sinistra sono parole completamente desemantizzate. Sono diventate delle parole vuote, senza significato, ma con accezione negativa affibiabile a chiunque: dire che “il capo dello Stato e la Consulta sono di sinistra”, non indica più un’appartenenza politica, ma è una frase pronunciata e percepita dal popolo dei berluscones come un insulto. Idem per i giornalisti, i maestri, i registi, gli studenti, i magistrati, i comici ecc.
Abbandonato il significato originale, la parola “sinistra” ha perso anche tutti i termini di paragone grazie ai quali poteva chiarire il suo scopo: senza la Democrazia Cristiana, senza i radicali, senza i repubblicani o i monarchici, senza i fascisti, che senso aveva dire che uno è “di sinistra”?
Tutte le vie di mezzo sono state cancellate: o sei con Berlusconi, o sei di sinistra.
Ecco un estratto di una conversazione in radio tra Fabio Volo e un ascoltatore che gli aveva appena dato del comunista.

Togliendoci il significato di “sinistra”, di “comunista”, e usandoli a mo’ di insulto, Berlusconi ha tolto a tutti noi la libertà di essere noi stessi e basta, la libertà di pensarla come ci pare e di non essere per forza parte di uno schieramento. Ci ha presi tutti e ci ha divisi a suo piacimento tra la sua Squadra e quella degli altri, dei comunisti, dei farabutti, dei fannulloni…
Era il 19 aprile del 1994 e Berlusconi festeggiava assieme ai suoi giocatori il terzo scudetto consecutivo del suo Milan.
“L’Italia sarà come il Milan”, ha detto il presidente. E così come lui ha voluto, è stato.

Si ringraziano micky78 e flickr per la foto

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La manifestazione è bella perché è varia

Ottimisticamente, avevamo deciso di raggiungere piazza del Popolo col motorino, nel consueto slalom tra gli automobilisti romani incazzati cronici. Ma il 3 ottobre, per le strade di Roma, gli incazzati non erano solo seduti in macchina: ce n’erano in moto, motorino, metropolitana, autobus da tutta Italia, schiacciati all’inverosimile in una piazza del Popolo scelta preventivamente dalla FNSI per la manifestazione. “Metti che facciamo un flop clamoroso – avranno pensato – piazza del Popolo la riempiamo subito”.
Contro ogni aspettativa, credo, non solo la piazza era stracolma di gente, ma anche le limitrofe via di Ripetta, via del Corso, il piazzale antistante alla metropolitana, lo sbocco del Muro Torto…un fiume di gente ininterrotto.
Dal palco Vianello dava le cifre: 300.000 secondo gli organizzatori, 60.000 per la questura, che da anni ha problemi con la matematica e la fisica del dissenso.
Non so quantificare quanti saremmo stati, ma sicuramente in piazza c’era di tutto: ragazzi reduci dal corteo dei precari della scuola, coppie della sinistra freak-chic romana, elegantemente casual e sorridenti, plotoni di anziane agguerritissime nel raggiungere inizialmente il sottopalco; rendendosi poi conto della mission impossible, hanno ripiegato sulle ringhiere a metà piazza, da raggiungere senza lesinare nelle gomitate nei fianchi accompagnate dalle giustificazioni “spòstate che so’ piccola e nun ce vedo” e “daje che me fanno male ee gambe”. Universitari accompagnati dai genitori, turisti incazzati (temo non per la qualità della stampa in Italia), ciclisti rimasti imbottigliati nella fiumana, cinofili estremi che non hanno risparmiato al loro cane la presenza all’evento, bambini in spalla ai genitori, una coppia aveva addirittura programmato il battesimo del figlio nella chiesa a ridosso degli archi di piazza del Popolo, tempistica decisamente poco azzeccata per il traffico di passeggini ed invitati in mise elegante.
Sopra le nostre teste, bandiere del PD, IdV, comunisti di vario genere e stampo, cartelli contro Silvio Berlusconi e contro il PD, bandiere de “l’Unità” con slogan di Gramsci “Odio gli indifferenti”, lo striscione de “I farabutti di Raitre”, gruppi arci, bandiere della CGIL.
Se il popolo manifestante era largamente politicizzato, sul palco gli interventi sono stati invece molto apartitici, tutti i leader relegati o dietro le quinte o davanti al palco, evitata, per la gioia di molti, qualsiasi passerella propagandistica.
Senza i soliti arringatori di folla da palcosenico (Andrea Rivera, in contestazione con l’organizzazione della manifestazione, si prenderà il palco solo verso le 8 di sera), gli interventi sono stati molto misurati: sotto il palco, tutti incazzati; sopra il palco, tutti molto attenti a non far degenerare un dissenso sacrosanto nella solita bagarre di piazza.
Dalla nostra postazione, abbastanza lontana dai megafoni, siamo riusciti solo a sentire pochi degli interventi previsti: Saviano sicuramente il più acclamato dalla folla, coi suoi soliti toni miti ma efficaci, in un discorso diretto alla testa più che alla pancia, come lo stesso Neri Marcorè e la sua lettura de “La democrazia americana” di Toqueville, alla faccia di chi denuncia l’imbarbarimento della satira.
Memorabile l’annuncio dal palco di Simone Cristicchi: “C’è una Escort bionda targata Bari da spostare davanti a palazzo Grazioli”.
E’ da registrare un certo dissenso nella folla per l’assenza di interventi trascinanti, stile curva sud: “Ma uno che s’arza a dire un paio de bestemmie nun ce sta?”, si vociferava attorno a me. Nella fauna variopinta del 3 ottobre, purtroppo, c’è stato anche questo, ma in definitiva il bilancio complessivo è sicuramente positivo, almeno per due motivi:
Primo, come ha scritto Luca Telese per il Fatto Quotidiano, era da molto tempo che tutto il popolo dell’opposizione non si riuniva in una manifestazione unitaria: dai comunisti marxisti leninisti ai sostenitori de “l’Avvenire”, eravamo tutti là a sudare, applaudire ed indignarci assieme. E’ un segnale forte che deve farci riflettere sulla vastità dei malumori che aleggiano in Italia, a dispetto dei sondaggi degli esperti berlusconiani.
Secondo, anche solo per la scandalosa diretta del Tg4 di Emilio Fede che, mi dicono, ha cercato di minare e minimizzare tutta la manifestazione, per l’editoriale di Minzolini al Tg1 che, in sostanza, dava a noi tutti dei patetici visionari, ammassarsi in 300.000 a piazza del Popolo è stato giusto e doveroso.
Volevamo dimostrare che non ci arrendiamo, che nonostante tutto ci siamo. E nonostante tutto, per una volta, ci siamo stati davvero.

si ringraziano Lo spacciatore di lenti e Flickr per la bellissima foto.

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