Carabinieri, la fiction, è arrivata alla settima edizione. Attraverso la finestra di Canale 5, da sette anni l’allegra combriccola dell’Arma è entrata nelle case di tutti gli ascoltatori votanti d’Italia, assieme alle storie d’amore, i litigi, le incomprensioni, le risate e le battute: una sorta di Caserma del Grande Fratello, con belloni, buontemponi e maggiorate a rotazione seriale.
Maurizio Costanzo, il 12 maggio del 2002, la definiva come «fiction domestica, frugale, utile ad avvicinare il pubblico ai carabinieri, da sempre in mezzo alla gente»: a dieci mesi dalla morte di Carlo Giuliani, se ne sentiva il bisogno. Non dico sia stata ideata e realizzata appositamente, ma come operazione di restyling d’immagine dei cento carabinieri che girano una caserma mentre uno tiene ferma la lampadina, è stata un’operazione senza dubbio di successo.
Ricordo che da piccolo le barzellette sui carabinieri andavano per la maggiore: un corpo dell’esercito vessato dallo sfottò, imbecille per antonomasia, fucina inesauribile di materiale per la produzione cinematografica trash.
Poi, in coincidenza con gli impegni di esportazione democratica, prima scemi del villaggio, poi simpatici e frugali intrattenitori del focolare domestico, i carabinieri hanno acquisito lo status di eroi. Eroi in un sacco di plastica nero, ma eroi. Ed intoccabili.
Guai a criticare i carabinieri, i “nostri eroi quotidiani” (Ignazio la Russa, 22 gennaio 2009), garanti della nostra sicurezza dentro e fuori i nostri confini.
Questo mito delle forze dell’ordine, dei corpi armati, malamente importato dagli Stati Uniti, ha un qualcosa di diabolicamente demagogico, di arma di distrazione di massa, come le epopee hollywoodiane della cavalleria di John Wayne: sangue di comanche sul teleschermo, sangue di coreano e vietcong in asia.
Anche per questo, quando le foto del cadavere di Stefano Cucchi, sfigurato come quello di Federico Aldrovandi, compaiono sulle pagine dei giornali, la versione ufficiale è “una caduta sulle scale” e Ignazio La Russa difende immediatamente a spada tratta la categoria delle forze dell’ordine.
Carlo Giuliani, Gabriele Sandri, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi…tutte mele marce. Troppe mele marce per difendere a cuor leggero la categoria. Dove sono le dichiarazioni di condanna degli alti ufficiali delle nostre forze dell’ordine? Dove sono le scuse alle famiglie? Dove sono i colleghi di questi delinquenti in divisa? Dove sono le sentenze esemplari?
Le famiglie di questi morti accidentali, senza giustizia e senza pace, mentre l’ennesima fiction fa da sfondo alle loro cene, stanno ancora aspettando un segnale. E’ una serata come le altre: chiusi al sicuro nelle proprie case, con un figlio sepolto sotto tre metri di terra senza un perchè.