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Darfur, non suona l’altra campana.

Siccome la Cina non ha un regista come Spielberg da poter sfoggiare ai media internazionali, al massimo un Zhang Yimou di Lanterne Rosse, la risposta alle accuse di Spielberg da parte del Partito Comunista Cinese non ha avuto alcuna eco.

Eppure è interessante leggere, tra le altre cose, che “una forza internazionale di pacificatori (Unamid) su mandato Onu e guida dell’Unione africana, che dovrebbe essere sul campo per impedire altre violenze da gennaio, non ha ancora visto arrivare che duemila dei 26mila soldati previsti, per mancanza di fondi che dovrebbero arrivare dai maggiori donors all’interno del sistema Onu.”

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Pechino 2008 e Darfur; come se prima del 2000 non esistesse Storia.

Steven Spielberg era stato invitato dal Partito Comunista Cinese (o Governo Cinese, che in Cina concidono) a prendere parte all’organizzazione delle cerimonie per le Olimpiadi del 2008; due giorni fa ha disdetto l’impegno, siccome la Cina non si sta impegnando per porre fine al conflitto che da anni sta dilaniando il Darfur…anzi, ci sono prove che assieme alla Russia stia foraggiando le truppe africane di armamenti, mentre compagnie cinesi stanno colonizzando il Sudan appoggiate dal governo locale, facendo grossi affari petroliferi.
Il quadro quindi, oggi, è di una Cina sfruttatrice, opportunista, ambigua e fomenta-genocidi, perciò l’opinione pubblica demonizza il colosso orientale che non si sta impegnando a fermare i conflitti.

Se la storia del mondo e la geopolitica fossero partite di rubamazzetto o puntate di cartoni animati, senza cause pregresse o movimenti politici alle loro spalle, sarei tra coloro che accolgono il rifiuto di Spielberg come una vittoria. Ma, purtroppo, le cose non credo stiano in questo modo.

La regione del Darfur è situata nella parte sudovest del Senegal; nel 1916 la Gran Bretagna ha invaso il Darfur con l’aiuto dei già colonizzati egiziani, annettendolo al Sudan e usandone ogni risorsa per sviluppare la capitale Karthoum, lasciando la regione vittima dell’emarginazione economica tipica del colonialismo europeo dell’epoca, proseguita anche dopo il 1956, quando il Sudan conquistò l’indipendenza dalla madrepatria inglese.
Esasperata la situazione da carestie e calamità naturali, nelle elezioni del 1968 il partito Umma, maggioritario nel Sudan, per conquistare l’elettorato stanziale indicò gli arabi come responsabili della condizione penosa del Sudan, fomentando una campagna anti-islamica, ma allo stesso tempo invocando in altre zone l’appoggio agli arabi da parte delle popolazioni africane seminomadi, cercando di accaparrarsi anche il loro favore.
Nel 1966 tale Gaafar Nimeiry, sudanese, si laureò al United States Army Command College di Leavenworth, Kansas e, guarda caso, tre anni dopo guidò un commando per rovesciare il governo sudanese, diventandone subito Primo Ministro e nel 1971 Presidente, mentre un giovanissimo Steven Spielberg faceva uscire Duel, storia di un “duello” tra un camionista ed un comune automobilista, presto film di culto.

Tra il 1974 e il 1984 casualmente vengono stipulati accordi con la Chevron, americana, che inizia a prelevare petrolio dal Sudan imponendosi come monopolio energetico, mentre la popolazione muore di fame e sete a causa delle carestie e della siccità a cavallo tra il 1983 e l’84, mentre Steven Spielberg ultimava le riprese di Indiana Jones ed il Tempio Maledetto. Imponendo l’applicazione della sharia islamica (ma continuando a fare affari con la Chevron), Nimeiry si tira contro parte dell’esercito situato a sud del Sudan: inizia la guerra civile.
Si susseguono governi a suon di colpi di stato, mentre la situazione sociale ed economica diventa via via peggiore, e giustamente la comunità internazionale si fa sentire: la nomenklatura sudanese aveva partecipato all’attentato a Mubarak nel 1995, così nel 1996 l’ONU impose l’embargo aereo al Sudan mentre gli Stati Uniti, autonomamente, imposero un embargo totale, come curare un diabetico con le meringate; nel frattempo Spielberg, godendosi gli l’Oscar per Schindler’s List di tre anni prima (miglior film e miglior regista), preparava il sequel di Jurassik Park ed Amistad, struggente storia della deportazione di africani negli Stati Uniti.

Mentre in Darfur si massacravano a colpi di machete, l’ONU ha provato con la diplomazia a fermare il conflitto, senza effettivi riscontri, inviando anche contingenti di pace, in linea col pensiero a stelle e strisce dell’esportazione coatta di valori e democrazia, chiaramente previo risucchiamento totale di risorse una trentina di anni prima.

Da alcuni anni la Cina sta colonizzando l’Africa centrale, il Sudan in particolare, fornendo fondi economici per infrastrutture, ingegneri per guidare la manodopera locale da un lato e probabilmente vendendo armi e disinteressandosi del conflitto in corso dall’altro.
Ora, la Cina sicuramente potrebbe fare di più, ma qualcuno ha boicottato le olimpiadi di Los Angeles 84, mentre in Darfur morivano di fame e la Chevron faceva affari d’oro? E Atlanta 96, quando gli Stati Uniti hanno escluso il Sudan dal resto del mondo col loro embargo totale?

Se dobbiamo accreditare alla Cina anche la responsabiltà della risoluzione della questione Darfur, quando gli Stati Uniti, l’Onu e tutto il mondo Occidentale hanno usato il giardino africano come orto per raccogliere petrolio e materie prime senza curarsi assolutamente delle popolazioni indigene (che, per la cronaca, se si scannano ancora oggi è grazie al nostro aver diviso a tavolino l’africa postcoloniale in quadratini geometricamente ineccepibili), diventa tutto lecito.
Come prendersi due Oscar dal carnefice più spietato della storia recente e poi fare i sensibilizzatori in casa d’altri.

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