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“Più in basso di così non si poteva andare, più in basso di così c’è solo da scavare”.

Quando Berlusconi dichiara che all’epoca dell’editto bulgaro non voleva Biagi lasciasse la Rai ma che il giornalista preferì abbandonare per ricevere un grosso compenso economico come liquidazione, giustificare il tutto con la mancanza di tatto, la predilezione alla falsità o le sparate folkloristiche del signorotto di Arcore non è abbastanza.

Berlusconi non è nuovo ad un certo tenore di uscite, ma se in passato le campagne elettorali erano imposte mediaticamente da lui, questa volta il Cavaliere è davvero in difficoltà; l’agenda politica dettata in anticipo da Veltroni ha scardinato completamente le possibilità di condurre un’ennesima campagna elettorale mandando a briglia sciolta i classici cavalli di battaglia del Silvio Nazionale: anti-comunismo, liberismo e libertà, toghe rosse…Veltroni ha spostato il dibattito sulla politica e sui problemi della gente, terreno scivoloso per l’imprenditore che si è fatto da solo (in tutte le accezioni del termine di “fatto”).

Quello che vediamo è un Berlusconi sbandato, senza punti di riferimento, che scoppia gli ultimi mortaretti facendo la voce grossa con gli ex CdL, perdendo la componente centro-religiosa di Casini, rimanendo ora senza Padri ma solo Padrini, affiancati da (ex?) fascisti e integralisti della polenta taragna, fondando una nuova corte pronta ad osannarlo.

I deliri di onnipotenza del Presidente, come lo chiamano i suoi eunuchi, sono il sintomo della sua verve perduta, piochè politicamente sostenere che Biagi abbia lasciato la Rai per soldi è un’operazione tanto inutile quanto suicida. Il motivo per dichiarare una falsità del genere è davvero difficilmente individuabile in un panorama ampio di campagna elettorale, ma nel capo del Capo è tutto lineare.
Per chi pensa solo al proprio capitale è normale ricondurre ogni tipo di questione al piano economico.
Per chi si gingilla nella sua vanità, per chi si autocelebra senza sosta, per chi pensa ad un inno di un partito dal titolo “Meno male che Silvio c’è”, per chi al pari dei comunisti peggiori della storia ha basato la sua vita politica sul culto della personalità, infangare la memoria di un morto non suscita nessuno slancio di dignità: in amore, in guerra e in politica tutto è lecito.
Abituato a misurarsi con morti politicamente come Prodi, il vecchio Silvio cerca disperatamente altri cadaveri coi quali interloquire, come a suo tempo fece parlando di Mao, Stalin ed altri spauracchi da favoletta del terrore.
Tirare in ballo Biagi in questo modo e in questo momento non è una caduta di stile, ma un’ennesima vangata nel terreno della decorosità e della dignità, cercando di toccare il baratro più profondo del tragico della nostra politica.

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